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Bollettino ADAPT 25 marzo 2024, n. 12
Posso considerarsi misure di welfare escluse da imposizione fiscale i servizi di mobilità sostenibile per il tragitto casa-lavoro-casa consistenti in:
– car sharing relativamente all’uso di soli veicoli con motore elettrico;
– ricarica elettrica di autovetture o motoveicoli;
– bike sharing;
– scooter sharing relativamente all’uso di soli veicoli con motore elettrico;
– monopattino elettrico;
– utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico locale (biglietto singolo o abbonamento a treno, metro, bus, traghetti, etc.),
quando siano offerti dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie omogenee di dipendenti.
Nello specifico, l’Agenzia delle Entrate, con la risposta a interpello n. 74 del 21 marzo 2024, conclude che i servizi di mobilità sopra descritti siano riconducibili alle finalità di «utilità sociale» di cui al comma 1 dell’articolo 100, richiamato dell’articolo 51, comma 2, lettera f), del TUIR.
Invero, la posizione della Agenzia delle Entrate un poco sorprende rispetto a questa conclusione. Infatti, l’articolo 100 del TUIR elenca tra le opere o servizi di utilità sociale quelle «per specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto», mentre non si riesce a rintracciare nei servizi di mobilità sostenibile esattamente una delle finalità appena elencate.
Nella costruzione del ragionamento che porta alle conclusioni, l’Agenzia delle Entrate richiama precedenti documenti di prassi. Per lo più riguardano le condizioni che devono essere rispettate affinché i servizi erogati siano esclusi dalla formazione del reddito di lavoro dipendente: (1) le opere e i servizi devono essere messi a disposizione della generalità dei dipendenti o di categorie di dipendenti; (2) le opere e i servizi devono riguardare esclusivamente erogazioni in natura e non erogazioni sostitutive in denaro (per rientra della lettera f); (3) il lavoratore dipendente deve essere estraneo al rapporto economico che intercorre tra l’azienda e l’erogatore del servizio e lo specifico servizio non deve essere adeguato a eventuali esigenze del beneficiario.
A questi requisiti, si aggiunge, poi, che «le opere e i servizi devono perseguire specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto di cui all’articolo 100, comma 1, del Tuir». Per cercare di ricollegare a tali finalità i servizi di mobilità sostenibile per il tragitto casa-lavoro-casa, l’Agenzia delle Entrate riprende la risposta ad interpello n. 461 del 31 ottobre 2019, dove riconduceva a tali finalità la messa a disposizione della generalità dei dipendenti di una piattaforma informatica per l’organizzazione del car pooling aziendale (definito dalla stessa risposta ad interpello come sistema di trasporto non professionale basato sull’uso condiviso di veicoli privati tra due o più persone che devono percorrere lo stesso itinerario o parte di esso), sottolineandone «l’obiettivo di ottimizzare e ridurre i costi sociali e individuali relativi al tragitto casa-lavoro-casa aumentando, nel contempo, la puntualità dei dipendenti rispetto all’orario di lavoro e favorendone la socializzazione anche a vantaggio della produttività del lavoro aziendale».
Con riferimento al caso oggetto dell’interpello in commento, l’Agenzia riporta quanto proposto dalla società istante rispetto al fatto che l’iniziativa di mobilità sostenibile «risponde anche all’esigenza prevista dal PNRR di ridurre le emissioni inquinanti, di migliorare la mobilità delle persone, di promuovere un utilizzo consapevole delle risorse e atteggiamenti responsabili verso l’ambiente, nonché promuovere l’uso di mezzi di trasporto condivisi al fine di favorire anche la socializzazione tra i dipendenti».
Dalle argomentazioni portate dall’Agenzia delle Entrate nella risposta ad interpello in commento e in quella richiamata, sembra dedursi che i servizi di mobilità sostenibile così come l’organizzazione del car pooling aziendale (benché peraltro le fattispecie concrete siano abbastanza differenti) siano riconducibili a una generica «utilità sociale» connessa a comportamenti responsabili verso l’ambiente, che riducono costi sociali e individuali e promuovono la socializzazione, non invece alle specifiche finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto, che non sembrano rilevabili nei servizi sopra descritti.
In questi termini, l’interpretazione della Agenzia risulta molto ampia e potrebbe lasciare spazio ad altri servizi che potrebbero essere considerati riconducibili alla categoria se solo si ravvisasse una qualche «utilità sociale», anche senza la stretta relazione con una delle finalità di educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria o culto. Tuttavia, si ritiene, che la generalizzazione sulla base di questa interpretazione potrebbe essere molto rischiosa, poiché, di fatto, non troverebbe adeguato supporto nella lettera della disposizione legislativo del TUIR.
Invero, l’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto richiamare la risposta a interpello n. 329/2022 dove aveva concluso che «in linea di principio, la disposizione di cui all’articolo 51, comma 2, lettera f) del Tuir possa applicarsi anche nella ipotesi in cui il datore di lavoro, allo scopo di promuovere un utilizzo consapevole delle risorse ed atteggiamenti responsabili dei dipendenti verso l’ambiente, attraverso il ricorso alla mobilità elettrica, offra ai propri dipendenti il servizio di ricarica dell’auto elettrica. In tale contesto, infatti, può individuarsi una finalità di educazione ambientale perseguita dall’azienda». In questo caso, per ricondurre il servizio di ricarica elettrica all’interno dei servizi di «utilità sociale» collegandolo a una delle specifiche finalità elencate, l’Agenzia aveva ritenuto di argomentare che appunto nella promozione di comportamenti responsabili verso l’ambiente e consapevoli nell’uso delle risorse si potesse ravvisare una finalità di «educazione», cioè una delle finalità espressamente elencate. Benché anche questa interpretazione si possa considerare non del tutto solida, perlomeno si crea un collegamento tra il servizio erogato e una delle specifiche finalità di cui all’articolo 100, comma 1, del TUIR, richiamate dalla lettera f) del comma 2 dell’art. 51.
Bisogna anche osservare che l’Agenzia non verifica la possibilità di ricondurre eventualmente i descritti servizi di mobilità sostenibile alle fattispecie della lettera d) o d-bis) del comma 2 dell’art. 51 del TUIR, ossia, rispettivamente: servizi di trasporto collettivo e pagamento o rimborso di abbonamenti per il trasporto pubblico locale, regionale e interregionale.
Tra i servizi di mobilità sostenibile elencati dall’istante è espressamente indicato «utilizzo dei mezzi di trasporto pubblico locale (biglietto singolo o abbonamento a treno, metro, bus, traghetti, etc.)». Pare abbastanza evidente che questo servizio rientri esattamente in quanto previsto dalla lettera d-bis).
Con riferimento agli altri servizi di sharing, certamente non sono paragonabili al tradizionale trasporto collettivo, ma considerando l’ampia interpretazione data per fare rientrare i servizi nella lettera f), si potrebbe interpretare in modo altrettanto ampio la lettera d) e vedere questi servizi di sharing come una sorta di trasporto collettivo “disaggregato” (invece di avere l’insieme dei lavoratori che utilizzano un unico messo di trasporto collettivo, si avrebbe l’insieme dei lavoratori che utilizzano i servizi su diversi mezzi di trasporto, all’interno tuttavia di una organizzazione unitaria del trasporto. Volendo si potrebbe anche fare un parallelismo con la c.d. “mensa diffusa”). Tra l’altro la stessa società istante dell’interpello relativo alla risposta n. 461 del 31 ottobre 2019 aveva proprio ipotizzato che l’organizzazione del car pooling aziendale potesse rientrare nella fattispecie del trasporto collettivo ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera d), del TUIR (poi ricondotto dall’Agenzia alla lettera f).
In conclusione, risulta evidente che l’Agenzia delle Entrate ritiene (giustamente) meritevole di tutela ogni intervento volto a promuovere la mobilità sostenibile, il rispetto delle risorse e dell’ambiente (in linea, peraltro, con tanti interventi legislativi in questa direzione) e per questo cerca di ricondurre i servizi di mobilità sostenibili all’interno delle prestazioni che possono essere erogate ai lavoratori senza che concorrano a formare il loro reddito. Tuttavia, come si è cercato di argomentare, soprattutto la soluzione offerta in via interpretativa nella risposta ad interpello n. 74 del 21 marzo 2024 risulta in effetti debole (anche più di precedenti interpretazioni che qui si sono richiamate). Sarebbe, allora, opportuno un intervento legislativo che riconoscesse espressamente a prestazioni con finalità di sostenibilità ambientale di poter rientrare tra quelle che possono essere erogate ai lavoratori (alle condizioni generalmente applicate) senza che formino il loro reddito.
Silvia Spattini
Ricercatrice ADAPT
@SilviaSpattini