Rimborso delle spese per attività sportiva dei figli: quali alternative?

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Bollettino ADAPT 14 ottobre 2024 n. 36

 
Il rimborso delle spese sostenute per le attività sportive dei figli (o di altri familiari) dei dipendenti non rientra tra le misure di welfare esenti da tassazione ai sensi dell’articolo 51, comma 2, lettera f-bis) del TUIR, a meno che l’attività sportiva non faccia parte delle «iniziative incluse nei piani di offerta formativa scolastica» (circolare AdE 15 giugno 2016, n. 28/E, paragrafo 2.2).
 
Questo è il chiarimento fornito dalla Agenzia delle Entrate nella risposta all’interpello n. 144 del 3 luglio 2024. Infatti, la lettera f-bis), comma 2, dell’art. 51 del TUIR individua come esenti da tassazione «le somme, i servizi e le prestazioni erogati dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti per la fruizione, da parte dei familiari indicati nell’articolo 12, dei servizi di educazione e istruzione anche in età prescolare, compresi i servizi integrativi e di mensa ad essi connessi, nonché per la frequenza di ludoteche e di centri estivi e invernali e per borse di studio a favore dei medesimi familiari». In sostanze, questa disposizione mira a favorire i servizi di educazione e istruzione e le attività collegate, senza menzionare l’attività sportiva.
 
L’unica eccezione ammessa che consente l’esenzione per le spese relative all’attività sportiva dei figli ai sensi della lettera f-bis) riguarda quelle attività che fanno parte di un’offerta formativa scolastica. In tali casi, le attività sportive possono essere considerate come “servizi integrativi” e quindi godere dell’agevolazione fiscale.
 
Alternative per il rimborso delle attività sportive dei figli
 
Ci si potrebbe chiedere, allora, se esistano altre possibilità per riconoscere le spese per le attività sportive dei figli o altri familiari come misure di welfare che godono dell’esclusione dalla formazione del reddito di lavoro dipendente.
 
Un’alternativa è fornita dalla lettera f), comma 2, dell’art. 51 del TUIR, che esclude dalla formazione del reddito di lavoro dipendente «opere e dei servizi riconosciuti dal datore di lavoro … alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti e ai familiari» con finalità di utilità sociale, come educazione, istruzione, ricreazione, assistenza sociale e sanitaria, o culto (art. 100, TUIR). Le attività sportive sono da considerarsi come attività ricreative. Infatti, l’Agenzia delle Entrate, nella Risoluzione n. 55 del 2020, ha esplicitamente menzionato le palestre tra i servizi riconducibili alla lettera f).
 
In questa ipotesi, però, a differenza dei servizi di cui alla lettera f-bis), non è consentito il rimborso. Le spese per l’attività sportiva usufruita dai figli dei dipendenti (o da altri familiari o dallo stesso dipendente) devono essere sostenute direttamente dal datore di lavoro che paga la struttura presso la quale viene svolta l’attività. Il dipendente non può essere coinvolto nel rapporto economico che intercorre tra l’azienda e il terzo erogatore del servizio (circolare AdE 15 giugno 2016, n. 28/E,)
 
Un’altra possibilità per coprire le spese delle attività sportive è l’opzione prevista dal comma 3 dell’art. 51 del TUIR, che consente l’esclusione dal reddito di beni e servizi ceduti dal datore di lavoro entro un certo importo (normalmente 258,23 euro, aumentato nel 2024 a 1.000 euro per tutti i lavoratori e a 2.000 per i lavoratori con figli a carico). In questo caso, l’azienda può pagare direttamente il servizio erogato oppure il lavoratore può utilizzare il proprio credito welfare riconosciuto dall’azienda per acquistare tale attività.
 
Conclusione
 

In sintesi, il rimborso delle spese per l’attività sportiva dei figli dei dipendenti, quando non inserita in un programma scolastico, non rientra tra le esenzioni fiscali previste dall’art. 51, comma 2, lettera f-bis) del TUIR. Tuttavia, è possibile ricorrere ad alternative per coprire tali spese, come il pagamento diretto da parte del datore di lavoro delle attività sportive, rientranti nei servizi ricreativi riconosciuti ai sensi della lettera f) oppure l’utilizzo del credito welfare a disposizione del lavoratore entro i limiti previsti dalla normativa. Queste soluzioni, pur non prevedendo il rimborso diretto, offrono comunque la possibilità di coprire le spese in oggetto come forma di welfare aziendale.
 
Silvia Spattini 
Ricercatrice ADAPT
@SilviaSpattini